
Era un pomeriggio di settembre di qualche anno fa.
Ora che ci pensa, doveva essere per forza il 2005.
Era finita da poco una vacanza quantomeno orrenda, tanto che aveva lasciato il suo moroso prima di tornare a casa. Una stronza? Forse sì, ma non bisognerebbe mai giudicare, senza conoscere prima come sono andate le cose. E comunque, sarebbe un'altra storia.
Restiamo a quel pomeriggio di settembre, con Pilar seduta ad un tavolo dell'aula studio insieme alle compagne di merende, il sole appena tiepido che filtrava dalle finestre e che illuminava leggermente il giardino interno dell'università. Era appena passato
il suo ex (che orrenda definizione), che con un gesto tanto plateale quanto indelicato le aveva rovesciato sul banco tutto quello che era rimasto a casa sua. Compresa una gomma per cancellare. Pilar era rimasta prima inebetita, poi imbarazzata, ma alla fine, quando capì che stava per mollargli un manrovescio, aveva raccattato quello che le apparteneva, l'aveva infilato distrattamente nella borsa e, salutati tutti, se ne era andata.
Non aveva più nulla da studiare.
Aveva finito la tesi.
Aveva trovato il coraggio di troncare una storia che non andava proprio.
E si sentiva una merda.
Non per il fatto di aver spezzato il cuore a lui, piuttosto perchè non aveva alcun rimorso.
Nessun rancore, nessuna lacrima, neanche un pezzetto d'odio.
Mentre cercava di non darsi della stronza (
perchè se l'era cercata, eccheccazzo!), decise di non prendere la metro, ma di andare a piedi fino alla stazione di Porta Garibaldi.
Attraversò il centro di Milano strattonata dalla gente che usciva dagli uffici, senza nemmeno guardarla. Lo sguardo dritto, il mento un po'imbronciato, la borsa tracolla che urtava ritmicamente un fianco. Si lasciava trascinare, con noncuranza.
Una parte di lei sentiva il bisogno di piangere, ma un'altra Pilar le suggeriva di gridare un sonoro
vaffanculo. Non fece nessuna delle due cose. Piuttosto, cominciò prima a camminare più velocemente, e poi a correre. All'inizio era una corsa frammentaria, interrotta dalle troppe persone che invece non avevano alcuna fretta. Poi il passo diventò sempre più svelto, isterico, cattivo. Attraversava le strade senza controllare i semafori, urtava le spalle della gente e se ne fregava. Correva come una matta. Le suole delle scarpe da ginnastica, consumate da un pezzo, scivolavano silenziosamente sul marmo dei portici, sulle passerelle di legno dei lavori in corso, sulle aiuole coperte dalle prime foglie gialle.
Arrivata all'ingresso della stazione, si fermò.
Le mancava quasi il respiro; aveva le stringhe delle scarpe slacciate, la cintura tutta storta, la camicetta mezza sbottonata fuori dai jeans. Era sciupata, scapigliata e affannata.
Però si sentiva bene.
Sì, stava benone.
Lo sguardo le cadde sulla vetrata che circondava le pareti del vecchio edificio.
Rise un po', poi si legò i capelli sulla nuca, rimise la camicia nei jeans, sistemò la borsa sulla spalla e, ancora con le stringhe slacciate, si avviò verso il binario 16.
Incastrati gli auricolari dentro le orecchie, tenne premuto il tasto
play per un po', e il lettore mp3 decise di far partire
Left of the middle*.
A caso, naturalmente.
Però la fece sentire ancora meglio...
* Naturalmente, adesso andate a scaricarvi 'sta canzone da qualche parte... e poi inizierete a prendere in giro...